Ho parecchi ricordi dei miei mesi in Erasmus riguardanti feste, conoscenze ed adattamento costante a nuove abitudini e culture diverse. Uno dei capitoli più importanti, però, del mio periodo di studio trascorso in Spagna è stato sicuramente quello dei viaggi.L’erasmus ti dà infatti, grazie anche alla presenza di numerose associazioni che si occupano esclusivamente di integrazione degli expat, la possibilità di poterti spesso muovere in lungo e in largo nel paese che ti ospita, il più delle volte a costi ridottissimi: l’occasione in questo caso fa giustamente l’uomo ladro e ad approfittarne sono soprattutto coloro i quali, dopo il periodo all’estero, tornano a casa propria in un altro continente e difficilmente avranno tali e tante opportunità di muoversi così liberamente.
Ecco, il ricordo odierno è relativo alla Feria de Sevilla, traduzione letterale: Fiera di Siviglia.
Siviglia è in assoluto una delle città più belle che possiate trovare in Spagna: si trova a Sud, nella caratteristica e celeberrima regione dell’Andalusia e merita certamente una visita, indipendentemente dalla ragione/occasione per la quale vi ci vogliate recare.
Questa festa di cui vi parlo si celebra solitamente in prossimità della Settimana Santa e fa dello stupendo capoluogo andaluso un vero e proprio centro folkloristico diviso in due: da una parte la ordinaria “normalità” con le sue imperdibili bellezze; dall’altra una città nella città fatta di casetas, ovvero piccole casette, nel numero di circa 1000, costruite in legno e ricoperte da un telone che vengono ospitate in una parte periferica della città. A ciò fanno da contorno gli abiti tipici della cultura e della tradizione spagnola e del flamenco: per giorni si vedono i sivigliani calzare i tradizionali vestiti locali ed animare le strade anche grazie alla copiosa presenza di cavalli e carrozze, come si fosse proiettati all’improvviso in altre epoche.
Unico lato – per certi versi – negativo della cosa, sono appunto queste casetas, o meglio la loro proprietà: genericamente appartengono a famiglie, piccole imprese o associazioni private. Per questo, cercare di festeggiare con i locali in una caseta è assai complesso, dato che servono inviti specifici che non sono facili da rimediare soprattutto per chi è straniero alla città di Siviglia.
A meno che tu non sia un simpaticone erasmus italiano: è da qui che inizia il mio racconto.
Si torna indietro di quattro anni, a una sera di fine aprile 2012. Ci rechiamo a questa festa con un’associazione che aveva organizzato un autobus pieno di studenti stranieri tutti diretti verso la Feria. Dopo numerosi giri turistici per la città di Siviglia (non mi stanco di ripetere: andateci!), ci ritroviamo a tarda notte in questo parco pieno di casette. Alcune di queste, forse le più grandi, sono aperte in quanto di proprietà di enti pubblici (tipo partiti politici). Questo ha da un lato il pregio di poter far capire cosa v’è dentro tali casetas dandoci la possibilità di sbevacchiare e di assistere a qualche tipico flamenco – e di cimentarci pure noi, nel pieno della nostra mancata lucidità – e dall’altro mantiene però il difetto di tenere, così, il compasso spettatoriale eccessivamente largo: troppi turisti, infatti, rischiano di rovinare un qualcosa che va goduto proprio in quanto frutto della cultura locale al 100%.
Così io, tarantino e un altro compare, barese, decidiamo di cercare amici che possano introdurci.
Ci imbattiamo in un giovane spagnolo che è proprio come uno si può immaginare un ragazzo di 19 anni dell’Andalusia: alto, moro, spigliato, aitante. Sembra particolarmente interessato a capire chi siamo noi ma, soprattutto, a raccontarci di lui: ci dice di essere il figlio di un famoso torero spagnolo e di star intraprendendo anch’egli la suddetta carriera. Per un momento gettiamo da parte il pregiudizio su un lato culturale iberico che ci piace poco e proviamo a catturarne la fiducia. Ci mostra alcune foto delle sue corride (il che presuppone anche avere un portafogli sufficientemente capiente da poterci ospitare, ndr) però non riusciamo a farci aprire le porte della sua caseta.
Ci congediamo da lui e cominciamo a compiere vari giri a vuoto, ci proviamo con qualche sivigliana (ché non fa mai male) e prevedibilmente otteniamo risultati assai miseri. Siamo vicini all’ora del check-out, quella in cui tocca essere al luogo di incontro con tutti gli altri per la ripartenza, e già vediamo alcuni dei nostri compagni che ci lasciano per ridirigersi all’autobus.
La fine è vicina.
Fino a che non si sa come e non si sa perché, ci troviamo alla porta di una caseta con i disegni del Betis Siviglia, una delle squadre di calcio locali. Allo stato attuale la squadra ha perso un po’ del fascino che coltivava negli anni 90 e nei primi del 2000, quando alcuni campioni di fama mondiale come Denilson e Alfonso ne rimpinzavano le fila. Ci interroghiamo sulla provenienza di quei disegni fino a che un paio di ragazzi lì fuori ascoltano i nostri discorsi, cominciano la classica tiritera di luoghi comuni che ogni italiano all’estero si sente dire «spaghetti, mafia, che cazzo» e ci invitano a bere con loro. Dentro, nella caseta!
Ce l’abbiamo fatta, grazie al calcio: siamo entrati in una privatissima caseta e abbiamo attratto l’attenzione – e l’ammirazione – di alcuni sivigliani che sono totalmente incantati dal parlare di calcio – del loro ma anche del nostro – con noi e dal poter scambiare punti di vista su cose che credevano essere semplicemente note a loro. Lo sport ci ha uniti.
Il mio amico ed io ci guardiamo intorno e notiamo un po’ di persone sedute a tavolini, come fossimo in un normale bar. Tuttavia, rimaniamo incantati (si fa per dire) da un’insegna alle spalle del bancone del bar: i cicchetti costano 5 euro, e i ragazzi ce ne avevano già presi 3 a testa. Trangugiamo tutto come se non ci fosse un domani, ne approfittiamo per andare in bagno e all’uscita veniamo rassicurati: non pagheremo niente, ci offrono tutto loro. Continuiamo, con più tranquillità: il discorso , come spesso avviene tra brilli, passa attorno a tutti i massimi sistemi per poi terminare sulle grandi squadre italiane come il Milan di Van Basten o la Juventus di Zidane.
Il tempo passa ma non ci accorgiamo dell’incedere perenne del ticchettio delle lancette.
Ci rendiamo conto che il tempo sia effettivamente volato solo quando, da quel momento in cui i nostri compagni si sono diretti all’autobus salutandoci, è passata approssimativamente un’ora e mezza di orologio. Decidiamo che forse è tardi, ci congediamo dai nostri nuovi amici spagnoli e torniamo al meeting point, visibilmente frastornati.
Morale della favola: lo sport unisce, ma un orologio in più salverebbe qualche reputazione.
P.S. Ovviamente all’autobus erano tutti in nostra attesa e non veniamo accolti come eroi. Ma la nostra Feria di Siviglia rimane assolutamente indimenticabile e, ci dispiace, non cambieremmo neanche il finale!