I rinnegati: una generazione che non esiste

«Ministro, la prego di non vantarsi dei miei risultati».
Suona quasi come un grido universale quello che la ricercatrice Roberta D’Alessandro ha affidato a Facebook per recapitarlo al ministro Stefania Giannini

Una storia che è rimbalzata su un buon numero di notiziari nonché sui social network, rapidi ed efficaci mezzi di transito di qualsiasi tipo di news.
La vicenda è stata raccontata molteplici volte e, tuttavia, riguarda non solo una persona o una categoria bensì una intera generazione: quella dei rinnegati.
Post di Roberta D'AlessandroNegli ultimi mesi si è parlato spesso di alcune eccellenze del Belpaese, purtroppo in alcuni casi per motivi tragici: di Valeria Solesin e del suo impegno per la pace o degli studi di Giulio Regeni, poco avremmo saputo se non fossero stati coinvolti in qualcosa di troppo più grande di loro.
Ed è così che mentre altrove raggiunge prestigiosi obiettivi, in Italia la generazione degli around 30 è diventata un ectoplasma, completamente scomparsa: soffocata da una crisi che ci ha resi troppo vecchi per essere coinvolti dai cambiamenti dei classe-90-ed-a-seguire e troppo giovani per godere dei privilegi di chi era around 30 negli anni 90 e 00.

Tra di loro, tra i rinnegati, la presenza di tante eccellenze che per rendersi tali sono dovute scappare.
Le cause? Parecchie: per tanti aspiranti ricercatori pochi fondi per la ricerca, per molti altri poche possibilità di sfondare e per la maggior parte fra loro l’inossidabilità dell’italico nepotismo nonché la riluttanza dell’establishment a cedere il passo e farsi da parte. D’altronde, il sistema delle porte girevoli assai in voga in Italia difficilmente aiuta chi vuole aprire un corridoio nuovo e buttarcisi dentro. C’è chi così, dopo anni persi – perché talvolta sono appunto questo: anni persi – decide di fare la valigia e tentare di crearsi un nuovo mondo, lontano da casa, all’inseguimento di un sogno che è molto spesso il normale desiderio di realizzarsi come persona, come essere umano.

Le tante storie della nostra generazione costretta all’emigrazione si somigliano moltissimo tra loro ma sono tutte unite da un comune denominatore: il rapporto di amore e odio che resterà con la propria terra. Perché mettersi su un aereo gettandosi tutto alle spalle nel tentativo di esistere non è così semplice come sembra, e non lo è il cominciare una nuova vita. Ed è per questo che le parole di Roberta D’Alessandro sono condivisibili: perché sono quelle di tanti giovani che sono stati costretti a fare di necessità virtù, girando i tacchi per guardare altrove. Quelli come lei si sono fatti da soli e senza l’aiuto di nessuno e dimostreranno al mondo intero, purtroppo eccezion fatta per il proprio paese nativo, di che pasta sono.
I meriti sono loro e della loro perseveranza e tali devono rimanere.

Compito di una entità istituzionale/politica di un paese è quello di rendere migliore la vita dei cittadini che rappresenta: per far questo occorre anche esibire i propri trofei, quel capitale umano che l’Italia sta regalando a mezzo mondo come fosse troppo ingombrante per sé.
Se quello in cui riesce altro non è che far scappare i propri talenti migliori, Ministro, allora farebbe bene a mantenere un istituzionale silenzio: è più consono e, almeno, non ci farà sentire presi in giro anche a migliaia di chilometri di distanza.